La nomenclatura botanica è la “lingua franca” con cui sono identificate in modo univoco le piante in tutto il mondo. In pratica è la loro denominazione formale e scientifica, stabilita al termine del processo di classificazione tassonomica. Consente infatti di identificare una pianta, indipendentemente dai nomi vernacolari, che cambiano da una lingua all’altra o addirittura da una regione a un’altra all’interno di uno stesso Paese. Oggi le regole della nomenclatura botanica vengono stabilite dall’International Code of Nomenclature for algae, fungi, and plants (ICN or ICNafp): l’ultima versione è entrata in vigore nel 2018.
La nomenclatura botanica, per come la conosciamo, nasce sostanzialmente con Linneo nel 1753, ma per capire fino in fondo l’importanza del nome scientifico delle piante, c’è una lunga ed articolata storia da raccontare.
Già dall’antichità venivano attribuiti dei nomi a quelle che oggi considereremmo delle specie, in virtù di loro caratteri e usi specifici, da quello alimentare a quello ornamentale o funzionale. È però il filosofo greco Teofrasto (371-287 a.C.) il primo a cercare di descrivere, raggruppare e differenziare tra loro le piante, sulla scorta degli insegnamenti del suo grande maestro Aristotele. In tal modo riconobbe l’esigenza di una classificazione del mondo vegetale, ragione per la quale è ricordato come il padre della botanica e della tassonomia. La sua opera “Historia Plantarum” fu tradotta in persiano e in arabo nel Medioevo, ma rimase pressoché sconosciuta fino al XV secolo in Europa, dove avevano goduto di maggior fortuna la “Naturalis Historia” di Plinio il Vecchio (23-79 d.C.) e il “De Materia Medica” di Dioscoride (~ 40-90 d.C.).
Il Rinascimento rappresentò un periodo di rinascita per la scienza in generale e per la botanica in particolare; presso le università nacquero i primi orti botanici (Pisa nel 1544, Padova e Firenze l’anno successivo), eredi degli horti sanitatis dei monasteri medievali. Inoltre, gli Europei stavano esplorando nuovi continenti, riportandone molte piante sconosciute, che vennero acclimatate nei giardini italiani e non solo; l’invenzione della stampa (1450-1455) rese più facile la circolazione delle informazioni e delle idee, contribuendo al progresso delle conoscenze scientifiche.
Fu l’italiano Andrea Cesalpino (1524-1603), pur partendo dai dettami aristotelici, a proporre nel suo “De Plantis Libri XVI” (1583) una classificazione delle piante più razionale e al tempo stesso innovativa, basata sulla morfologia di fiori e frutti, sostituendo così l’ordine alfabetico precedentemente in uso per organizzare gli erbari.
La svolta arrivò finalmente nella prima metà del XVIII secolo, quando il botanico svedese Carl von Linné propose un chiaro sistema di classificazione delle piante basato sul numero di stami e stigmi dei fiori, che permetteva di identificare una pianta mediante genere e specie, al posto del complicato sistema descrittivo utilizzato fino a quel momento.
Questo sistema semplice e razionale, descritto nella sua famosa opera “Species Plantarum” (1753), diede inizio alla nomenclatura binomiale che usiamo ancora oggi, composta dal nome del genere a cui appartiene la specie e da un epiteto che distingue quella specie dalle altre appartenenti allo stesso genere.
All’inizio del XIX secolo, i tassonomisti non erano più interessati solo a descrivere, classificare e denominare gli organismi, ma anche a spiegare l’origine della diversità osservata.
Quando Charles Darwin (1809-1882) pubblicò “L’Origine delle Specie” (1859) introdusse anche in botanica quel concetto chiave di discendenza con modificazione che è ancora oggi generalmente accettato con il termine di filogenesi. Ciò significa che i caratteri utili alla tassonomia, e di conseguenza alla nomenclatura botanica, sono quelli ereditati da un antenato comune.
Nacque così una nuova era nella classificazione della natura, che riflette la storia evolutiva della vita.
La scoperta del DNA da parte di James Watson e Francis Crick (1953) ha notevolmente migliorato la comprensione dei processi evolutivi e, al passaggio nel XXI secolo, i dati molecolari, insieme a sempre più potenti algoritmi di calcolo, consentono una più raffinata delimitazione di ordini e famiglie delle piante, permettendo la loro corretta classificazione e rendendo più precisa la nomenclatura botanica.
Ci sono voluti oltre venti secoli per arrivare all’attuale sistema di nomenclatura binomiale, che consente agli scienziati di classificare gli organismi in modo univoco in base a caratteristiche riconosciute. Una nomenclatura che permette alle persone di tutto il mondo di riferirsi a una specifica pianta in modo chiaro e conciso, evitando la confusione data dai nomi comuni che invece riflettono la cultura e la lingua dei diversi popoli.
Per convenzione, si continuano ad adottare i nomi latini, in quanto il Latino, per secoli, è stata la lingua veicolare degli studiosi; il nome generico porta sempre l’iniziale maiuscola, mentre la specie viene scritta in minuscolo; entrambi i nomi vanno inoltre indicati in corsivo. Il binomio è seguito dal nome dell’autore, normalmente abbreviato.
Tuttavia, bisogna sempre tener presente che, grazie al progresso scientifico e tecnologico, la nomenclatura delle piante non è un codice immutabile: può capitare che a seguito di un cambiamento nella classificazione, si debba aggiornare in parte o tutto il nome, per cui una stessa specie può adottare nel tempo anche diversi nomi.
Per mantenersi sempre aggiornati è quindi fondamentale consultare database ufficiali, come ad esempio WFO Plant List, in cui vengono riportati anche i sinonimi di ciascuna specie.