Buon Natale da EPO Ci prepariamo a staccare la spina per qualche giorno per dedicarci al calore delle festività! I nostri uffici saranno chiusi dal 19 dicembre 2024 al 6 gennaio 2025 inclusi. Durante questo periodo, ci prenderemo una pausa per ricaricarci e tornare ancora più motivati per il nuovo anno. 📩 Tutte le richieste inviateci nel frattempo saranno gestite con la massima cura al nostro rientro. Per urgenze, invece, potete contattarci all’indirizzo epo@eposrl.com
Botanicals: quale apporto a salute e benessere? Le sostanze e i preparati a base vegetale, noti come botanicals, stanno guadagnando sempre più attenzione e fiducia da parte dei consumatori come prodotti a sostegno della salute e del benessere psicofisico. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’80% della popolazione mondiale si affida alle piante e alla medicina tradizionale per curarsi, mentre in Italia, secondo Il Sole 24ORE, sarebbero circa 30 milioni le persone adulte che hanno usato integratori alimentari almeno una volta nell’ultimo anno, confermando così il primato italiano tra i mercati europei. La crescente domanda riguarda anche gli integratori alimentari a base di piante, che al contrario di altri integratori, come ad esempio vitamine e minerali, non integrano la dieta in senso stretto, ma vengono utilizzati piuttosto per mantenere il nostro organismo in buona salute, supportandone le funzioni fisiologiche, come ad esempio le naturali difese dell’organismo, ed ottimizzandole, anche in caso di disturbi comuni, quali quelli gastrointestinali o delle prime vie respiratorie, difficoltà del sonno, di concentrazione etc. Cosa sono i botanicals e come vengono utilizzati? I botanicals sono sostanze e preparati vegetali derivati da piante, alghe, funghi o licheni, disponibili sotto forma di integratori alimentari, cioè in forma predosata. In Italia, l’uso di botanicals è regolamentato dal Decreto Ministeriale 10 agosto 2018, che disciplina le piante e le parti di piante utilizzabili negli integratori alimentari. Le origini dei botanicals affondano nella medicina tradizionale, e il loro utilizzo continua a evolversi grazie al supporto della ricerca scientifica moderna, che ne conferma i benefici e ne amplia le applicazioni, mettendo in luce eventuali rischi nel loro impiego. I benefici per il benessere quotidiano e la salute È vasta la gamma di benefici offerti dai botanicals. Tra i più apprezzati ci sono gli estratti da piante che contengono molecole antiossidanti, come il mirtillo nero, utile per la salute del microcircolo, della vista e per la regolarità del transito intestinale, la melissa, che contribuisce alla funzione digestiva e al benessere mentale grazie alle sue proprietà rilassanti, l’estratto di timo volgare (THYMOX®) che supporta la funzione digestiva, il benessere di naso e gola e la fluidità delle secrezioni bronchiali, o quello di rosa canina con la sua azione di sostegno e ricostituente. Chi cerca un aiuto contro lo stress, lo può trovare nell’estratto di Scutellaria lateriflora (BlueCALM®), che favorisce il rilassamento e migliora la qualità del sonno. La Griffonia simplicifolia, invece, supporta l’equilibrio dell’umore e la regolazione dell’appetito agendo sul sistema nervoso centrale. Oppure, quando l’organismo è soggetto a stress intensi e prolungati, si può ricorrere agli estratti di piante adattogene come il ginseng, la più antica pianta adattogena conosciuta dall’uomo, oppure l’ashwagandha o la maca, che facilitano l’adattamento dell’organismo a condizioni di tensione psicofisica, migliorandone la resilienza. Anche i cambi di stagione rendono il nostro organismo più vulnerabile: oltre ad un’alimentazione quotidiana equilibrata e completa si può fare ricorso ad alcuni nutraceutici di origine vegetale in grado di supportare i nostri naturali meccanismi di difesa. Nella lunghissima lista di erbe che possiedono queste proprietà ci sono spezie di uso comune, come zenzero, curcuma, cannella, chiodi di garofano etc. in virtù delle loro proprietà antiossidanti ed antimicrobiche, ma anche i polifenoli del sambuco e del luppolo (immunHopE®). L’Echinacea purpurea (L.) Moench (EKINact®), è universalmente nota per la sua azione sulle naturali difese dell’organismo. Parlando nello specifico di polifenoli, bisogna considerarli dei veri e propri guardiani naturali della salute. Questi composti organici naturali si trovano primariamente in frutti come uva, mele, pere, ciliegie o frutti di bosco, oltre che in molti botanicals. Benché numerosi studi epidemiologici e relative meta-analisi suggeriscano che il consumo a lungo termine di diete ricche di polifenoli vegetali possa offrire una protezione contro lo sviluppo di tumori, malattie cardiovascolari, diabete, osteoporosi e malattie neurodegenerative, esiste un ampio dibattito sulla loro reale biodisponibilità, cioè la capacità di queste molecole, spesso di grandi dimensioni, di raggiungere i tessuti bersaglio attraverso l’assorbimento ed il passaggio nella circolazione sanguigna. Per questo EPO Srl, si impegna a offrire estratti vegetali di altissima qualità, il cui contenuto in molecole bioattive viene standardizzato attraverso metodiche analitiche ufficiali e convalidate, e a testare i “branded extracts” su modelli in vitro per valutare la loro reale bioaccessibilità e biodisponibilità. L’importanza della qualità totale e delle tecniche estrattive La qualità lungo tutta la filiera e le tecniche estrattive sono infatti fondamentali per preservare le proprietà bioattive dei botanicals. Dall’identificazione botanica, comprovata attraverso la tecnica del DNA barcoding, al meticoloso utilizzo delle tecniche analitiche previste dalla Farmacopea Europea (E.P.), fino alla scrupolosa applicazione delle Procedure del Sistema integrato di Qualità aziendale, in EPO ogni fase di vita del prodotto è studiata affinché il fitocomplesso si mantenga intatto, per garantirne efficacia e sicurezza d’impiego. I botanicals rappresentano oggi un ponte tra tradizione e innovazione nel raggiungimento del benessere quotidiano. La ricerca continua e l’impegno di aziende come EPO Srl assicurano che questi prodotti rimangano strumenti fondamentali per la salute e la qualità della vita. Scopri di più sui nostri estratti, visitando il link: i nostri prodotti
Idrocarburi degli oli minerali (MOAH e MOSH) negli alimenti: il quadro normativo europeo Gli idrocarburi degli oli minerali sono dei composti chimici contenenti da 10 a 50 atomi di carbonio, derivati principalmente dal petrolio greggio, ma anche sintetizzati da carbone, gas naturale e biomassa, ed utilizzati nell’industria alimentare principalmente come lubrificanti per i macchinari, agenti distaccanti e coadiuvanti tecnologici, additivi alimentari o per mangimi; si trovano tuttavia anche negli adesivi e negli inchiostri da stampa, o possono derivare dall’inquinamento ambientale; dunque, un potenziale rischio di contaminazione su tutta la filiera agroalimentare: dalle macchine che raccolgono e processano erbe e spezie al packaging degli alimenti. Nel luglio 2024 la Commissione Europea ha presentato due proposte per mettere in atto un piano di monitoraggio e attività di campionamento ed analisi secondo un protocollo ufficiale da inserire nel regolamento (CE) n. 333/2007. È stata predisposta anche una bozza di regolamento per definire i tenori massimi di MOAH per le diverse categorie di alimenti, inclusi integratori alimentari, erbe secche e spezie. Pertanto, i draft sugli oli minerali attualmente al vaglio delle Autorità europee sono ben tre. Cosa sono i MOAH e i MOSH? Gli oli minerali si suddividono in due principali categorie. I MOAH (Mineral Oil Aromatic Hydrocarbons) sono idrocarburi aromatici per i quali è stato evidenziato un rischio di genotossicità e cancerogenicità, in particolare se costituiti da 3 o più anelli aromatici. I MOSH (Mineral Oil Saturated Hydrocarbons) costituiscono un’altra famiglia di idrocarburi; benché possano accumularsi negli organi e nel sistema linfoide, l’EFSA, nel 2023, ha concluso che i livelli attuali di esposizione ai MOSH tramite la dieta non rappresentano un rischio significativo per la salute umana. Le opinioni EFSA e l’implementazione del quadro normativo Una opinione scientifica dell’EFSA, del 2012, nella quale si segnalava la potenziale pericolosità degli oli minerali per la saluta umana, ha indotto la Commissione Europea ad occuparsi della presenza di questi contaminanti negli alimenti, coinvolgendo nel monitoraggio anche gli operatori del settore (Raccomandazione (UE) 2017/84 della Commissione, del 16 gennaio 2017). Alla fine del 2023, a seguito di un’indagine di Foodwatch sulla presenza degli oli minerali negli alimenti (2021) e della pubblicazione di una nuova opinione scientifica EFSA che aggiornava i precedenti dati (EFSA Panel on Contaminants in the Food Chain (CONTAM), Update of the risk assessment of mineral oil hydrocarbons in food), la Commissione UE ha presentato una prima bozza di regolamento per stabilire i tenori massimi per gli idrocarburi aromatici di oli minerali (MOAH) negli alimenti. L’obiettivo è quello di integrare tali limiti nel Regolamento Europeo sui Contaminanti (UE) 2023/915. Un aggiornamento di questa bozza è stato presentato a luglio 2024: in esso sono stati definiti tenori massimi specifici per alcune materie prime, incluse spezie ed erbe secche (5,0 mg/kg) ed anche integratori alimentari (10.0 mg/kg dal 01.01.2026 e 5,0 mg/kg dal 01.01.2030). Inoltre, nello stesso periodo, sono state presentate altre due proposte di regolamenti, il primo per disporre metodi di campionamento e di analisi degli oli minerali negli alimenti, il secondo per invitare Stati Membri ed operatori del settore alimentare (OSA) a monitorare la presenza di MOAH e MOSH negli alimenti per il quadriennio 2026-2029. La Commissione Europea ritiene infatti fondamentale tale monitoraggio al fine di introdurre misure di mitigazione del rischio di contaminazione lungo tutta la filiera. I livelli indicativi massimi relativi a prodotti di nostro interesse nella bozza relativa al monitoraggio sono i seguenti: Per i MOSH: spezie, erbe essiccate, tè, infusi di erbe e integratori alimentari: 15 mg/kg; semi e frutti oleosi: 5,0 mg/kg Per i MOAH: tè e infusi di erbe: 5,0 mg/kg La posizione di EPO EPO Srl segue da vicino e con attenzione gli sviluppi normativi relativi a MOAH e MOSH. Sebbene i limiti proposti non abbiano ancora valore legale, EPO già da tempo monitora attentamente i propri prodotti, con analisi specifiche su estratti oleosi di sabal. Tuttavia, finché questi limiti non acquisiranno valore legale, EPO non aggiornerà la relativa documentazione tecnica (certificati analitici e schede tecniche). EPO è anche impegnata in una fattiva e trasparente collaborazione con i propri fornitori di erbe e con tutti gli stakeholder coinvolti nella filiera per la raccolta dati, al fine di garantire la conformità ai futuri regolamenti; EPO si rende inoltre disponibile verso fornitori e clienti per supportarli in caso di dubbi o se fossero necessarie ulteriori informazioni.
Polifenoli: i guardiani naturali della salute I polifenoli sono composti organici naturali, prodotti da una vasta gamma di organismi, tra cui principalmente piante, ma anche batteri, funghi e persino animali, le cui proprietà antiossidanti e antinfiammatorie li rendono particolarmente interessanti per favorire il benessere generale dell’organismo, attraverso l’alimentazione. Frutti come uva, mele, pere, ciliegie o frutti di bosco possono contenere fino a 200-300 mg di polifenoli per 100 grammi di peso del prodotto fresco, e anche i prodotti derivati da questi frutti possono contenerne in misura significativa. Anche i cereali, i legumi secchi e il cioccolato contribuiscono all’assunzione di polifenoli e perfino un bicchiere di vino rosso o una tazza di tè o caffè possono arrivare a contenere circa 100 mg di polifenoli. Numerosi studi epidemiologici e relative meta-analisi suggeriscono che il consumo a lungo termine di diete ricche di polifenoli vegetali offra una protezione contro lo sviluppo di tumori, malattie cardiovascolari, diabete, osteoporosi e malattie neurodegenerative. In questo articolo indagheremo il ruolo dei polifenoli negli esseri viventi e a quali condizioni possano svolgere un reale effetto benefico nell’uomo, capace di contribuire in modo rilevante alla nostra salute. Il ruolo biologico dei polifenoli nelle piante I polifenoli svolgono un ruolo cruciale nelle piante: si tratta infatti di metaboliti secondari, che agiscono come veri e propri scudi naturali, proteggendo le piante dai danni ossidativi causati dai raggi UV, dai parassiti e da altre aggressioni esterne, ma che permettono anche alle piante di “comunicare”, come nel caso dei pigmenti vessillari che attirano gli insetti impollinatori. Ad esempio, il Cistus x incanus L. è una pianta mediterranea nota per il suo alto contenuto di polifenoli, che le conferiscono una forte resistenza agli stress ambientali. Chimicamente i polifenoli si suddividono in quattro grandi famiglie: i flavonoidi, gli acidi fenolici, gli stilbeni ed i lignani; le prime due a loro volta sono suddivise in molte altre categorie; alcune di queste, come gli antociani e i flavonoidi sono responsabili dei bellissimi colori dei fiori e, in parte, della livrea autunnale delle foglie. I benefici dei polifenoli per la salute umana I polifenoli sono oggetto di molta attenzione da parte della comunità scientifica per i loro numerosi benefici per la salute umana, agendo principalmente come potenti antiossidanti. Grazie alla presenza di gruppi fenolici nella loro struttura chimica, questi composti sono in grado di neutralizzare i radicali liberi, proteggendo le cellule dai danni ossidativi e contribuendo così a ridurre il rischio di malattie croniche, come le malattie cardiovascolari, ed il cancro. Oltre alle proprietà antiossidanti, i polifenoli possiedono anche notevoli proprietà antinfiammatorie, che aiutano a ridurre lo status infiammatorio, supportando la salute generale e il benessere. Il Melograno (Punica granatum L.), ad esempio, è ricco di punicalagine, un polifenolo con spiccate proprietà antinfiammatorie e antiossidanti. Inoltre, i polifenoli mostrano efficaci proprietà antibatteriche e antiparassitarie, che contribuiscono alla difesa dell’organismo contro le infezioni. La Cannella (Cinnamomum verum J.Presl.), dalle note proprietà digestive ed ipoglicemizzanti, per esempio, può essere utilizzata anche per le sue proprietà antibatteriche, sia in ambito alimentare che cosmetico. Infine, i polifenoli sono sotto i riflettori anche per i loro possibili effetti preventivi sul cancro: molti studi epidemiologici hanno dimostrato una relazione inversa tra un consumo regolare di frutta e verdura, ricchi in polifenoli, e lo sviluppo di alcuni tumori, in particolare quello del colon. I polifenoli eserciterebbero un’azione anticancro attraverso diversi meccanismi d’azione, oltre all’attività antiproliferativa, cioè la capacità di inibire lo sviluppo delle cellule tumorali, senza danneggiare le cellule sane. La biodisponibilità dei polifenoli Nonostante tutti i benefici descritti, esiste un ampio dibattito sulla reale efficacia dei polifenoli, a causa della loro biodisponibilità, cioè la capacità di queste molecole, spesso di grandi dimensioni, di raggiungere i tessuti bersaglio attraverso l’assorbimento ed il passaggio nella circolazione sanguigna. La biodisponibilità dei polifenoli dipende strettamente dalla loro struttura chimica e non esiste una correlazione diretta tra la quantità di polifenoli presenti in un alimento e la loro biodisponibilità. Quest’ultima è legata innanzitutto alla bioaccessibilità, cioè alla quantità di sostanza attiva rilasciata dall’alimento/integratore durante la digestione gastrointestinale e disponibile per l’assorbimento. I polifenoli negli alimenti si trovano spesso in forme molto complesse, che subiscono modificazioni durante la digestione gastrointestinale. Pertanto, le forme che raggiungono il sangue ed i tessuti possono essere diverse da quelle originarie ed anche la loro attività biologica e sicurezza devono essere attentamente comprovate. L’impegno di EPO I polifenoli rappresentano un prezioso alleato naturale per la salute, grazie alle loro numerose proprietà benefiche. EPO Srl, con i suoi 90 anni di esperienza e tradizione nella produzione di botanicals, offre estratti vegetali di altissima qualità, il cui contenuto in molecole bioattive viene standardizzato attraverso metodiche analitiche ufficiali e convalidate. Inoltre, per i “Branded Extracts” garantisce anche studi di efficacia; dopo una prima valutazione dei risultati ottenuti in vitro, cioè su modelli cellulari predittivi del comportamento di queste molecole bioattive in organismi complessi, grande attenzione viene dedicata allo studio della bioaccessibilità e della biodisponibilità. Solamente al termine di questa lunga e laboriosa fase, gli estratti più promettenti possono essere considerati eleggibili per uno studio clinico che, in caso di esito positivo, garantirà efficacia e sicurezza del prodotto. Scopri di più sui nostri Branded Extracts, molti dei quali standardizzati in polifenoli, visitando il link: Scopri i nostri prodotti.
Da Parigi 2024 all’antica Olimpia, il legame secolare tra piante, fiori e Olimpiadi Questa estate Parigi fiorirà di un rosso mai visto. Per le Olimpiadi 2024 infatti è stato creato un fiore inedito, l’Olympic Games Dahlia, dai petali di un rosso vibrante, che ricorda la fiamma olimpica; questa varietà è stata ideata nei laboratori del Parc Floral de Paris per incarnare la passione olimpica ed il legame emotivo tra i Giochi olimpici e la Ville Lumière. Piante e fiori, infatti, da sempre incarnano valori simbolici; in questo articolo indagheremo il legame profondo tra il mondo vegetale e le Olimpiadi. I fiori di Tokyo 2020 e Londra 2012 (ma non Rio 2016) Una delle caratteristiche dei bouquet olimpici imposta dal Comitato Olimpico Internazionale (IOC) è che le piante selezionate crescano nel Paese ospitante. Durante le Olimpiadi di Tokyo 2020 (tenutesi però nel 2021 a causa della pandemia da Covid-19), i vincitori ricevettero bouquet di specie coltivate nei distretti nord-orientali del Giappone, devastati dallo tsunami del 2011, dunque con precisi significati simbolici: girasoli di Miyagi piantati dai genitori sulla collina dove i loro figli avevano cercato inutilmente rifugio dallo tsunami; lisianthus di Fukushima, per la speranza di ripresa dell’agricoltura dopo il disastro nucleare; genziane di Iwate, di colore blu come il logo di Tokyo 2020; foglie di aspidistra di Tokyo, in omaggio alla città ospitante. Anche i bouquet offerti ai vincitori di Londra 2012 riflettevano i colori del logo olimpico: erano infatti composti da rose di quattro cultivar diverse, tutte coltivate nel Regno Unito. Un’eccezione a questa usanza fu invece l’edizione delle Olimpiadi di Rio de Janeiro 2016, quando gli atleti vincitori ricevettero piccole sculture invece di fiori, per una scelta considerata più sostenibile. Perché si omaggiano i vincitori delle gare olimpiche con mazzi di fiori? L’omaggio floreale iniziò con le prime Olimpiadi moderne del 1896, riprendendo la tradizione di epoca vittoriana di celebrare i vincitori delle competizioni sportive con mazzi di fiori. Nell’Ottocento usare fiori con un significato simbolico in specifiche situazioni era parte di una comunicazione non verbale codificata, il cosiddetto “linguaggio dei fiori” o “florigrafia”. Una tradizione che risale all’Antica Grecia In realtà, già durante le Olimpiadi classiche i vincitori venivano omaggiati con piante dal significato simbolico. Nell’antichità, infatti, le piante erano legate a miti, divinità e valori morali; Olimpia, uno dei più grandi santuari della Grecia antica, era legata alla memoria di Eracle (Ercole), l’eroe par excellence, che aveva piantato accanto al tempio di suo padre Zeus un olivo, già menzionato nel suo Historia Plantarum da Teofrasto, il padre della botanica (IV sec. a.C.), come “l’olivo selvatico di Olimpia, da cui si ricavano le corone per i giochi“. Anche il geografo Pausania (II sec. d.C.) menziona il fatto che Eracle istituì la corona di foglie d’ulivo (kotinos) di questo albero sacro come premio per il vincitore della gara di corsa a piedi, in onore di Zeus, il re degli dei. Le Olimpiadi, dunque, erano innanzitutto un evento di carattere religioso e panellenico (che coinvolgeva, cioè, tutte le città-stato greche) e, per permettere ad atleti e pellegrini di viaggiare in sicurezza, veniva istituita anche una tregua olimpica. A questo proposito, Erodoto, nelle sue Storie, racconta che il re persiano Serse, dopo la vittoriosa battaglia delle Termopili, si stupì del fatto che i greci preferissero gareggiare ai Giochi Olimpici per una corona d’ulivo anziché combattere (“Ahimé, Mardonio, contro quali uomini ci hai portato a combattere! Uomini che si battono non per denaro, ma per dimostrare il proprio valore!“), sottolineando, da un lato, il valore morale di quella corona e dall’altro l’importanza delle Olimpiadi e della tregua olimpica. Oltre che con l’ulivo, simbolo di riconciliazione e pace, i vincitori delle competizioni olimpiche venivano omaggiati con rami di palma da dattero (simbolo della vittoria), e con ghirlande aromatiche di mirto e alloro (che indicavano la fama dei vittoriosi), ed anche con una mela (simbolo di bellezza e sapienza). I Romani continuarono la tradizione di premiare gli atleti con corone vegetali e rami di palma, come testimoniato dal delizioso mosaico delle “Ragazze in bikini” a Piazza Armerina (IV sec. d.C.), in cui un’atleta vincitrice di una gara sportiva viene premiata da un’altra fanciulla con la palma della vittoria ed una corona floreale. Pierre de Coubertin, John Sibthorp, Ferdinand Bauer e il Giardino Botanico Olimpico Più che a Pierre de Coubertin, il fondatore delle moderne Olimpiadi, il merito di aver riannodato le fila con quell’antica tradizione si deve a John Sibthorp, professore di Botanica all’Università di Oxford, che nella seconda metà del Settecento esplorò la Grecia raccogliendo piante e fiori, e documentandole in dettagliate tavole a colori, grazie alla collaborazione con l’illustratore austriaco Ferdinand Bauer. Un lavoro titanico nel quale vennero identificate le piante simboliche dei Giochi Olimpici antichi e grazie anche al quale è oggi possibile visitare il Giardino Botanico Olimpico, nelle adiacenze del sito archeologico dell’antica Olimpia: un museo a cielo aperto, dove crescono 58 differenti specie di piante rappresentative della flora dell’antica città sacra, sulla base di descrizioni antiche e testimonianze successive.
Dall’EFSA nuove restrizioni per i botanicals contenenti derivati idrossiantracenici I derivati idrossiantracenici (o antrachinoni) sono una classe di molecole presenti in diverse specie vegetali usate a fini salutistici, in particolare aloe, rabarbaro, senna, cascara e frangola, ma anche in comuni verdure, quali piselli, fagioli, lattuga e cavolo. Nella medicina tradizionale le piante antrachinoniche vantano un lungo impiego nella costipazione. Già dal 2018, tuttavia, un parere dell’EFSA, cioè l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare, aveva posto in dubbio la sicurezza di questi preparati, ponendo le basi per la messa al bando dell’Aloe. Un recente parere pubblicato il 23 maggio 2024, ribadisce le stesse conclusioni anche per le altre 4 piante, che rischiano quindi di scomparire dal mercato degli integratori alimentari. Una vicenda che ha suscitato molte perplessità La vicenda ha radici lontane e inizia precisamente nel 2013, quando un’azienda si rivolse all’EFSA per una richiesta di approvazione di un claim salutistico relativo al miglioramento della funzione intestinale; il prodotto conteneva, tra gli ingredienti, anche 5 mg/compressa di Rabarbaro. In quell’occasione l’EFSA aveva confermato che i derivati dell’idrossiantracene contenuti in varie piante, tra cui la radice e il rizoma del Rheum palmatum L. e/o del Rheum officinale Baillon e/o dei loro ibridi, le foglie o i frutti della Cassia senna L. e/o della Cassia angustifolia Vahl, la corteccia del Rhamnus frangula L., del Rhamnus purshianus D.C. e dall’Aloe barbadensis Miller e/o varie specie di aloe, principalmente l’Aloe ferox Miller e i suoi ibridi, apportavano tale beneficio per un’assunzione giornaliera di 10 mg al giorno negli adulti; tuttavia, nello stesso documento, l’EFSA ne aveva sconsigliato l’uso a lungo termine per vari rischi legati alla funzione intestinale. In seguito, nel 2016, la Commissione Europea ha richiesto all’EFSA di formulare un parere scientifico sulla valutazione della sicurezza dei derivati idrossiantracenici negli alimenti, in base all’ art.8 del Reg. (CE) n. 1925/2006, e di fornire anche un’indicazione sulla dose giornaliera da assumere, tale da non creare preoccupazioni per gli effetti nocivi sulla salute dell’uomo; l’EFSA, dopo aver revisionato i dati disponibili nella letteratura scientifica, ha concluso nel 2018 che, fino a prova contraria, i derivati dell’idrossiantracene dovevano essere considerati cancerogeni e genotossici (cioè in grado di provocare un danno al DNA cellulare). Da questo parere è derivato, nel 2021, il divieto di commercializzazione dei preparati a base di Aloe spp. contenenti derivati idrossiantracenici ad un livello ≥ 1 ppm (mg/kg) negli integratori alimentari, ma, paradossalmente, non il loro uso come aromatizzante; l’uso delle altre droghe antrachinoniche è stato posto sotto osservazione per un periodo di 4 anni, durante i quali gli operatori del settore avrebbero potuto raccogliere dati scientifici a supporto della loro sicurezza. Nel 2023, la Commissione Europea ha richiesto all’EFSA di valutare gli studi presentati dalle parti interessate durante il periodo di scrutinio; EFSA, peraltro, aveva già ritenuto non provanti quelli presentati da SITOX (Società Italiana di Tossicologia) riguardo all’Aloe. Benché i dati scientifici risultanti da tutti gli studi condotti siano risultati negativi, l’EFSA ha ritenuto che la sicurezza delle preparazioni contenenti idrossiantracenici non possa essere stabilita sulla base degli studi presentati, adducendo motivazioni che hanno sollevato non poche perplessità negli operatori del settore come all’interno della comunità scientifica. L’approccio EFSA, tuttavia, non tiene conto del cosiddetto “effetto matrice” ovvero la differenza tra l’impiego di sostanze pure assunte isolatamente e quello dei fitocomplessi, in cui la presunta azione nociva verrebbe modulata dalla matrice vegetale stessa. A questo punto si attende una decisione della Commissione Europea, che quasi certamente determinerà il bando negli integratori alimentari anche per le piante attualmente sotto osservazione, presumibilmente entro il 2025. Quali alternative agli antrachinoni? Le piante ed estratti vegetali contenenti derivati idrossiantracenici sono i lassativi più efficaci in natura e sono pertanto difficilmente sostituibili; esistono tuttavia altre classi di lassativi naturali, più blandi, come quelli zuccherini o osmotici, che richiamano acqua nel lume intestinale, o i lassativi lubrificanti (oli vegetali) che svolgono un’azione emolliente, ed anche le fibre, sia solubili che insolubili. Le fibre solubili, tra cui le mucillagini, associano all’azione puramente meccanica di aumento della massa fecale, il vantaggio che la loro fermentazione nel lume intestinale incrementa la flora batterica del colon e produce acidi grassi a corta catena con azione procinetica, che si traduce quindi in un miglioramento del transito intestinale. A chi soffre di stipsi è inoltre sempre consigliabile uno stile di vita sano, cioè attività fisica ed una dieta ricca in fibre. Clicca qui sei vuoi sapere di più sugli estratti secchi 100% EPO di Altea e Malva titolati al 25% in mucillagini, con certificazione DNA per assicurare le corrette specie botaniche.
Dalla Griffonia simplicifolia un aiuto nel controllo dell’umore e dell’appetito In primavera molte persone sperimentano sbalzi d’umore e disturbi del sonno: l’allungamento delle giornate e l’aumento delle temperature hanno infatti un impatto sul ciclo sonno-veglia; è anche la stagione in cui si evidenziano le conseguenze di un’alimentazione più pesante e della sedentarietà tipiche della stagione fredda. Scopriamo insieme una pianta tropicale che può venirci in aiuto. Un fagiolo africano naturalmente ricco in 5-idrossitriptofano La Griffonia simplicifolia (DC.) Baill. è un arbusto sempreverde e rampicante, originario delle aree umide dell’Africa occidentale, tradizionalmente utilizzato nella medicina popolare africana per trattare un’ampia varietà di malattie, principalmente sotto forma di stecche da masticare ottenute dal fusto e dalla radice. Come emerge anche da un recentissimo lavoro, pubblicato su Challenges nel 2024 (Beneficial Properties and Sustainable Use of a Traditional Medicinal Plant: Griffonia simplicifolia), la fitoterapia occidentale cominciò a interessarsene negli anni Settanta del secolo scorso, principalmente perché i semi di questa pianta della famiglia delle fabacee, simili a fagioli, sono una fonte vegetale di 5-idrossitriptofano (5-HTP). Nell’uomo, il 5-HTP si forma da un aminoacido essenziale, il triptofano, che normalmente ingeriamo attraverso la dieta: è infatti contenuto nell’albume dell’uovo, nei latticini, nella carne e nel pesce, ma anche nel cioccolato fondente e in alcuni semi. Una volta ingerito, il triptofano viene trasformato in 5-HTP, che è il precursore diretto della serotonina, chiamata anche, in maniera un po’ semplicistica, “ormone della felicità”. L’azione degli estratti di Griffonia sul sistema nervoso centrale Per questo, gli estratti di Griffonia simplicifolia sono stati ampiamente studiati per la loro azione sul sistema nervoso centrale, come regolatori di umore, sonno e appetito, e in particolare per le loro proprietà benefiche nel trattamento di ansia, depressione e fame nervosa. Ansia e depressione Uno studio in vivo del 2011 pubblicato su Phytomedicine (Anxiolytic-like effect of Griffonia simplicifolia Baill. seed extract in rats) ha dimostrato l’effetto ansiolitico dell’estratto di semi di Griffonia sui ratti, suggerendo un potenziale beneficio nell’uomo per il trattamento dell’ansia. Controllo dell’appetito e del sovrappeso Il ruolo della serotonina nell’assunzione di cibo e nell’omeostasi tra energia assunta ed energia spesa è stato studiato per decenni ed è ormai assodato che un’alterazione nei meccanismi di regolazione serotoninergica sia associata al sovrappeso e all’obesità. Una ricerca del 2009 pubblicata sull’International Journal of Obesity (Satiety and amino-acid profile in overweight women after a new treatment using a natural plant extract sublingual spray formulation) ha dimostrato come una formulazione comprendente estratti vegetali contenenti naturalmente 5-HTP possa indurre un aumento significativo della sensazione di sazietà, che si è tradotta in un miglioramento dei principali indicatori di sovrappeso o obesità, quali l’indice di massa corporea, lo spessore delle pliche cutanee e la circonferenza dei fianchi. L’aggiornamento del Novel Food status Catalogue a proposito della Griffonia simplicifolia Un recentissimo aggiornamento da parte dell’EFSA del Novel Food status Catalogue ha interessato questa pianta, specificando che semi ed estratti di semi di Griffonia simplicifolia (Vahl ex DC.) Baill. fino a un massimo del 30% di 5-HTP, come il nostro estratto 100% Made in EPO, non sono considerati novel food negli integratori alimentari; il 5-idrossitriptofano (5-HTP), indipendentemente dal fatto che sia sintetizzato chimicamente o estratto selettivamente dai semi, continua ad essere novel food. L’estratto di Griffonia simplicifolia (DC.) Baill. (o Griffonia simplicifolia (Vahl ex DC.) Baill.) Made in EPO Per scoprire di più sul nostro estratto acquoso di alta qualità ottenuto dai semi di Griffonia simplicifolia (DC.) Baill., standardizzato ≥ 20% 5-HTP, 100% Made in EPO, identificato tramite DNA barcoding, clicca qui.
Un ausilio contro le malattie parodontali da PLANoràl® Le malattie parodontali rientrano tra le 6 malattie non trasmissibili più diffuse al mondo. In particolare, la gengivite, cioè una lieve infiammazione delle gengive, che, se non curata è prodromica alla più grave parodontite, secondo un’indagine realizzata dall’istituto di ricerca GfK e promossa da GSK Consumer Healthcare, colpisce circa 23 milioni di italiani. Sintomi e cause di gengiviti e parodontiti La gengivite è la forma più lieve di malattia paradontale; irritazione, arrossamento, gonfiore e dolore delle gengive quando si mangiano cibi caldi o freddi sono i sintomi più comuni, insieme al sanguinamento e all’alitosi, ma solo il 57% di chi ne è affetto riconosce la propria patologia e si rivolge ad un esperto per curarla. La gengivite in genere è dovuta ad una scarsa igiene orale e alla mancanza di controlli periodici, ma se non viene trattata prontamente può evolvere verso forme più gravi non reversibili (parodontite), che possono causare anche la perdita dei denti. Vediamo allora da dove nasce la gengivite: nella mucosa orale, calda e umida, vivono oltre 700 specie di microrganismi, prevalentemente batteri, che si mantengono in equilibrio con l’ospite; questo stato simbiotico è chiamato “eubiosi”. Quando esso si altera per qualsiasi ragione, possono proliferare i batteri “cattivi”, come ad esempio Porphyromonas gingivalis; questi si annidano nella placca, cioè la pellicola che si deposita costantemente sul dente. Per questa ragione è importante spazzolare i denti almeno 2 volte al giorno: l’azione meccanica permette di rimuovere, almeno in parte, la placca e dunque i batteri. Con il tempo quest’ultima si indurisce trasformandosi in tartaro, che si accumula alla base del dente stesso; il tartaro deve essere rimosso da un professionista: da qui l’importanza dei controlli periodici. Se ciò non avviene, la gengiva inizia ad infiammarsi, provocando i sintomi che abbiamo descritto sopra e che possono evolvere fino ad uno stato cronico non più reversibile, detto parodontite. Dalla parodontite all’infiammazione sistemica Parodontite che, come emerge da uno studio del 2021 pubblicato su Frontiers in Physiology (Periodontal Inflammation and Systemic Diseases: An Overview), è anche una fonte potenziale costante di infezione e infiammazione sistemica: nei pazienti affetti da malattia parodontale sono stati infatti osservati livelli più elevati di biomarcatori dell’infiammazione sistemica, come le citochine pro-infiammatorie (TNF-α, IL-1 e IL-6) e la proteina C-reattiva, come risultato della traslocazione microbica dalle lesioni parodontali. Già da una ricerca del 2012 pubblicata sul Journal of Indian Society of Periodontology (Periodontitis and systemic diseases: A literature review) era emerso come infezioni e infiammazioni causate dalla parodontite possono essere diffuse ad altri organi attraverso il sangue e rappresentare un ulteriore fattore di rischio per disturbi cardio e cerebrovascolari o respiratori, diabete, insulino-resistenza, obesità, artrite reumatoide, osteoporosi, gestosi e nascite premature. LEGGI ANCHE: Bocca sana per un corpo sano: il legame tra salute del cavo orale e malattie sistemiche La combinazione di Cistus incanus L. e Scutellaria lateriflora L. (PLANoràl®) per la salute del cavo orale Studi preclinici pubblicati sulla rivista scientifica Foods (In Vitro Antimicrobial and Antibiofilm Properties and Bioaccessibility after Oral Digestion of Chemically Characterized Extracts Obtained from Cistus × incanus L., Scutellaria lateriflora L., and Their Combination) hanno già evidenziato come la combinazione di Cistus incanus L. e Scutellaria lateriflora L. (PLANoràl®) abbia un’azione antimicrobica specifica su P. gingivalis, oltre a ridurre la formazione del biofilm (cioè della placca subgengivale che si forma sul dente all’inizio del processo esaminato sopra) di circa l’80%; effetti promettenti e potenzialmente utili per il trattamento della gengivite. LEGGI ANCHE: Estratti vegetali di Cistus incanus L. e Scutellaria lateriflora L.: la loro combinazione ha proprietà antimicrobiche e antibiofilm, per la prevenzione delle malattie parodontali Un miglioramento clinicamente rilevante e statisticamente significativo dello stato di salute gengivale Ora un nuovo studio pubblicato sulla rivista Nutrients il 16 Marzo 2024 (Efficacy and Tolerability of a Scutellaria lateriflora L. and Cistus × incanus L.-Based Chewing Gum on the Symptoms of Gingivitis: A Monocentric, Randomized, Double-Blind, Placebo-Controlled Clinical Trial) conferma la potenziale attività benefica di PLANoràl®. Sotto forma di gomma da masticare, in modo da garantire un contatto prolongato con il cavo orale ed assunta per 3 mesi 2 volte al giorno, ha procurato un miglioramento clinicamente rilevante e statisticamente significativo dello stato gengivale nei volontari che durante lo studio hanno assunto PLANoràl® rispetto al placebo, in particolare rallentando i sintomi associati alla gengivite e arrestando la sua progressione verso la parodontite. Per saperne di più su PLANoràl®, il nostro estratto secco ottenuto da matrici vegetali identificate mediante DNA barcoding, scarica la nostra brochure.
Nomenclatura scientifica delle piante: origine ed importanza La nomenclatura botanica è la “lingua franca” con cui sono identificate in modo univoco le piante in tutto il mondo. In pratica è la loro denominazione formale e scientifica, stabilita al termine del processo di classificazione tassonomica. Consente infatti di identificare una pianta, indipendentemente dai nomi vernacolari, che cambiano da una lingua all’altra o addirittura da una regione a un’altra all’interno di uno stesso Paese. Oggi le regole della nomenclatura botanica vengono stabilite dall’International Code of Nomenclature for algae, fungi, and plants (ICN or ICNafp): l’ultima versione è entrata in vigore nel 2018. La nomenclatura botanica, per come la conosciamo, nasce sostanzialmente con Linneo nel 1753, ma per capire fino in fondo l’importanza del nome scientifico delle piante, c’è una lunga ed articolata storia da raccontare. Da Teofrasto al Medioevo Già dall’antichità venivano attribuiti dei nomi a quelle che oggi considereremmo delle specie, in virtù di loro caratteri e usi specifici, da quello alimentare a quello ornamentale o funzionale. È però il filosofo greco Teofrasto (371-287 a.C.) il primo a cercare di descrivere, raggruppare e differenziare tra loro le piante, sulla scorta degli insegnamenti del suo grande maestro Aristotele. In tal modo riconobbe l’esigenza di una classificazione del mondo vegetale, ragione per la quale è ricordato come il padre della botanica e della tassonomia. La sua opera “Historia Plantarum” fu tradotta in persiano e in arabo nel Medioevo, ma rimase pressoché sconosciuta fino al XV secolo in Europa, dove avevano goduto di maggior fortuna la “Naturalis Historia” di Plinio il Vecchio (23-79 d.C.) e il “De Materia Medica” di Dioscoride (~ 40-90 d.C.). Il Rinascimento Il Rinascimento rappresentò un periodo di rinascita per la scienza in generale e per la botanica in particolare; presso le università nacquero i primi orti botanici (Pisa nel 1544, Padova e Firenze l’anno successivo), eredi degli horti sanitatis dei monasteri medievali. Inoltre, gli Europei stavano esplorando nuovi continenti, riportandone molte piante sconosciute, che vennero acclimatate nei giardini italiani e non solo; l’invenzione della stampa (1450-1455) rese più facile la circolazione delle informazioni e delle idee, contribuendo al progresso delle conoscenze scientifiche. Fu l’italiano Andrea Cesalpino (1524-1603), pur partendo dai dettami aristotelici, a proporre nel suo “De Plantis Libri XVI” (1583) una classificazione delle piante più razionale e al tempo stesso innovativa, basata sulla morfologia di fiori e frutti, sostituendo così l’ordine alfabetico precedentemente in uso per organizzare gli erbari. Linneo e la nascita del sistema binomiale La svolta arrivò finalmente nella prima metà del XVIII secolo, quando il botanico svedese Carl von Linné propose un chiaro sistema di classificazione delle piante basato sul numero di stami e stigmi dei fiori, che permetteva di identificare una pianta mediante genere e specie, al posto del complicato sistema descrittivo utilizzato fino a quel momento. Questo sistema semplice e razionale, descritto nella sua famosa opera “Species Plantarum” (1753), diede inizio alla nomenclatura binomiale che usiamo ancora oggi, composta dal nome del genere a cui appartiene la specie e da un epiteto che distingue quella specie dalle altre appartenenti allo stesso genere. Il pensiero evolutivo nella teoria della classificazione All’inizio del XIX secolo, i tassonomisti non erano più interessati solo a descrivere, classificare e denominare gli organismi, ma anche a spiegare l’origine della diversità osservata. Quando Charles Darwin (1809-1882) pubblicò “L’Origine delle Specie” (1859) introdusse anche in botanica quel concetto chiave di discendenza con modificazione che è ancora oggi generalmente accettato con il termine di filogenesi. Ciò significa che i caratteri utili alla tassonomia, e di conseguenza alla nomenclatura botanica, sono quelli ereditati da un antenato comune. Nacque così una nuova era nella classificazione della natura, che riflette la storia evolutiva della vita. La scoperta del DNA da parte di James Watson e Francis Crick (1953) ha notevolmente migliorato la comprensione dei processi evolutivi e, al passaggio nel XXI secolo, i dati molecolari, insieme a sempre più potenti algoritmi di calcolo, consentono una più raffinata delimitazione di ordini e famiglie delle piante, permettendo la loro corretta classificazione e rendendo più precisa la nomenclatura botanica. L’importanza della nomenclatura botanica Ci sono voluti oltre venti secoli per arrivare all’attuale sistema di nomenclatura binomiale, che consente agli scienziati di classificare gli organismi in modo univoco in base a caratteristiche riconosciute. Una nomenclatura che permette alle persone di tutto il mondo di riferirsi a una specifica pianta in modo chiaro e conciso, evitando la confusione data dai nomi comuni che invece riflettono la cultura e la lingua dei diversi popoli. Per convenzione, si continuano ad adottare i nomi latini, in quanto il Latino, per secoli, è stata la lingua veicolare degli studiosi; il nome generico porta sempre l’iniziale maiuscola, mentre la specie viene scritta in minuscolo; entrambi i nomi vanno inoltre indicati in corsivo. Il binomio è seguito dal nome dell’autore, normalmente abbreviato. Tuttavia, bisogna sempre tener presente che, grazie al progresso scientifico e tecnologico, la nomenclatura delle piante non è un codice immutabile: può capitare che a seguito di un cambiamento nella classificazione, si debba aggiornare in parte o tutto il nome, per cui una stessa specie può adottare nel tempo anche diversi nomi. Per mantenersi sempre aggiornati è quindi fondamentale consultare database ufficiali, come ad esempio WFO Plant List, in cui vengono riportati anche i sinonimi di ciascuna specie.
Un aiuto contro lo stress dall’ estratto di Scutellaria lateriflora L. Spossatezza, sbalzi d’umore, mal di testa, insonnia, variazioni di peso e altri sintomi comuni dello stress colpiscono sempre più persone in tutto il mondo: secondo uno studio di Assosalute precedente la pandemia, l’85% degli Italiani presentava disturbi legati allo stress; d’altro canto, l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha stimato che i disturbi legati all’ansia siano i disturbi mentali più comuni al mondo. La pandemia di Covid-19, con le sue conseguenze a livello economico e sociale, ha ulteriormente aggravato la situazione. La risposta del nostro corpo allo stress e il ruolo del cortisolo È importante comprendere che lo stress di per sé stesso non è negativo, anzi ci aiuta ad affrontare le sfide quotidiane. Quando però è in eccesso può avere serie ripercussioni sulla nostra salute, sia sul corpo che sulla psiche. Il nostro corpo reagisce agli stimoli stressogeni rilasciando cortisolo dalle ghiandole surrenali. Per questo il cortisolo è noto anche come “l’ormone dello stress”. La concentrazione del cortisolo nel sangue viene finemente regolata dall’asse ipotalamo-ipofisi-surrene. L’attivazione di questa cascata serve a consentire la reazione di “attacco o fuga”: il cortisolo attiva infatti il metabolismo, mettendo a disposizione dell’organismo un surplus di glucosio, sopprimendo invece i processi che consumano energia, quali, ad esempio, il sistema immunitario. Se lo stress perdura nel tempo, l’eccesso di cortisolo può avere effetti dannosi su diverse funzioni, come quella immunitaria, endocrina, cardiovascolare, e a livello del sistema nervoso centrale. Può provocare inoltre disturbi del sonno, con difficoltà nell’addormentarsi o risvegli frequenti, nonché una diminuzione della densità minerale ossea, con rischio di osteoporosi. Le piante del genere Scutellaria per favorire rilassamento e sonno Le piante del genere Scutellaria vantano un lungo uso tradizionale nella medicina erboristica per favorire il rilassamento ed il sonno, ma solo la S. lateriflora L. viene riconosciuta per questa finalità dalle linee guida del Ministero della Salute italiano sugli effetti fisiologici dei botanicals utilizzati negli integratori alimentari. Inoltre, la Scutellaria può essere adulterata con delle specie morfologicamente simili, ma epatotossiche del genere Teucrium; in questo caso il DNA barcoding si rivela uno strumento prezioso e sicuro per l’identificazione della corretta specie botanica. Un nuovo studio su BlueCALM® Ora un nuovo studio pubblicato a gennaio 2024 sulla rivista scientifica Molecules pone le basi scientifiche per confermare questo utilizzo, dimostrando come un estratto di Scutellaria lateriflora L. caratterizzato chimicamente (BlueCALM®) svolga una significativa azione inibitoria sul rilascio di cortisolo in un modello in vitro. Per maggiori dettagli su questo studio leggi anche la nostra news. Per saperne di più su BlueCALM®, il nostro estratto secco titolato al 10% in baicalina, da filiera italiana (lombarda e trentina), identificato mediante DNA barcoding, scarica la nostra brochure.