Pubblicato il 28 Gennaio 2025

Orti botanici: dai monasteri medievali alla salvaguardia della biodiversità

Gli orti botanici moderni sono uno dei lasciti più preziosi del Rinascimento italiano al mondo intero. Dall’hortus conclusus medievale, il giardino recintato in cui i monaci coltivavano piante e alberi per scopi alimentari e medicinali, alla nascita delle Università laiche e all’affermarsi del metodo scientifico, gli orti botanici hanno attraversato i secoli adattandosi al passo dei tempi, rimanendo sempre un formidabile strumento di studio del regno vegetale e di conservazione della sua biodiversità.

L’eredità del mondo antico

Già nei tempi antichi esistevano luoghi di raccolta e conservazione delle piante, dal giardino botanico di Karnak del faraone egizio Tutmosi III (1479-1425 a. C.) alla raccolta di piante creata ad Atene nel IV secolo a. C. dal filosofo Teofrasto, discepolo di Aristotele; quest’ultimo cominciò a descrivere e classificare le piante, ragione per la quale viene considerato il padre della botanica e della tassonomia. La sua opera “Historia Plantarum” venne tradotta in persiano e in arabo, ma in Europa, tramontata l’epoca classica, ebbero maggior diffusione altri testi, come la “Naturalis Historia” di Plinio il Vecchio e il “De Materia Medica” di Dioscoride, per cui fu riscoperta solo dagli umanisti rinascimentali.

La rinascita medievale e le istituzioni religiose

Nell’Alto Medioevo, i monaci furono sicuramente gli eredi dell’antichità classica. Con la diffusione dei monasteri benedettini come nuclei di conservazione della cultura e di riorganizzazione dell’economia, al loro interno si incominciarono a definire gli spazi e a coltivare le piante, principalmente per scopi di alimentazione e cura, dato che spesso, annessi ai monasteri, vi erano luoghi di accoglienza dei malati (“infirmarium”). Nella celeberrima planimetria del monastero di San Gallo (epoca carolingia), i giardini appaiono chiaramente differenziati secondo tre tipologie fondamentali: l’”hortus”, per la coltivazione delle piante eduli, il “pomarius” o frutteto, ed infine l’“herbolarius” o giardino delle piante medicinali. La scelta delle piante da coltivare rispondeva sia a criteri pratici che simbolici; d’altro canto, lo stesso giardino monastico non era altro che una prefigurazione dell’Eden, cioè del Paradiso. In tal modo però i monaci erboristi poterono integrare gli studi dei testi classici con l’osservazione diretta delle piante e la preparazione di rimedi (detti “semplici”), costituiti principalmente da erbe medicamentose, ma anche di origine animale o minerale, all’interno di appositi locali chiamati “officina”, da cui il termine tuttora in uso nella lingua italiana “erbe officinali”. Essi arricchirono inoltre le nozioni ereditate dai classici con la redazione di cataloghi ragionati (“hortuli”), che avevano anche una finalità didattica, a sussidio della trasmissione orale delle conoscenze, da maestro a discepolo.  Alle soglie dell’età moderna, vanno menzionate infine due iniziative volute dai papi: l’istituzione, nel 1513, della Cattedra di lettura dei semplici (“Ad declarationem simplicium medicinae”), presso l’università di Roma, per volontà di papa Leone X de’ Medici, figlio del Magnifico Lorenzo e uomo di vastissima cultura; i docenti di medicina erano soliti svolgere le loro lezioni pratiche presso l’Orto medico vaticano, creato già nel 1447 da papa Nicolò V Parentucelli (figlio  a sua volta di un medico), per lo studio e l’insegnamento della botanica, che può essere considerato a buon diritto il primo orto botanico di Roma e ragione per la quale, probabilmente, la Città Eterna non avvertì la necessità di un orto botanico accademico fino al XVII sec.

Il sapere laico e le università

Parallelamente allo sviluppo dei giardini di tradizione monastica, si assistette anche alla creazione di orti dei semplici al servizio di istituzioni laiche, come nel caso del Giardino della Minerva, dove già nel XIV sec. gli studenti della Scuola medica salernitana potevano assistere a lezioni di botanica dal vivo (“ostensio simplicium”).  L’anno di svolta è sicuramente il 1543, quando Luca Ghini, originario dell'Appennino imolese e laureatosi in medicina a Bologna, fu chiamato da Cosimo de’ Medici a insegnare botanica medicinale presso l’Università di Pisa, dove fondò il primo orto botanico universitario del mondo. Luca Ghini, grazie alla lungimiranza dei Medici, cultori dei giardini e grandi mecenati, poté così portare avanti i suoi studi, introducendo la tecnica di essiccazione delle piante, per permetterne l’osservazione anche in condizioni climatiche avverse o per esaminarle a distanza. Nella didattica medica lo studio dei testi classici fu affiancato a quello di erbari di piante essiccate - l’“hortus siccus”, mentre quelli figurati - l’“hortus pictus” - iniziarono a essere corredati da immagini realistiche, assai diverse dalle fantasiose illustrazioni medievali, spesso intrise di magia. Il 1545 vede la fondazione di nuovi “Horti simplicium”: nascono così l’orto botanico di Firenze e di Padova. Oggi l’orto botanico di Padova è il più antico del mondo ancora nella sua sede originaria; la sua struttura riprende quella dell’hortus conclusus medievale: un grande muro circolare in cui è inscritto un quadrato, suddiviso a sua volta in quattro quadrati, all’interno dei quali si trovano le aiuole. Camminare lungo quei viali significa ricalcare i passi di Galileo, Torquato Tasso o Goethe, a cui è intitolata una palma che il poeta tedesco vide nel 1786, tuttora viva. Gli orti botanici di Pisa, Firenze e Padova furono il modello per la nascita di altre istituzioni simili in tutta Europa: Lipsia (1580), Jena (1586) e Heidelberg (1597) in Germania, Leida nei Paesi Bassi (1590) e Montpellier in Francia (1593), e nel secolo successivo anche in Danimarca (Copenaghen, 1600), Inghilterra (Oxford, 1621) e Svezia (Uppsala, 1655). Infatti, le grandi scoperte geografiche e l’apertura di nuove rotte commerciali, il progresso scientifico, il fenomeno delle wunderkammer, il desiderio di nobili e ricchi mercanti di possedere piante ed alberi esotici come segno di prestigio, diedero ulteriore impulso alla diffusione di giardini botanici, cui contribuì anche l’arte, con il successo di pittori di fiori e frutti, dall’Arcimboldo a Pierre-Joseph Redouté, il “Raffaello dei fiori”.  Gli orti botanici divennero così giardini di acclimatazione per la flora alloctona, da cui ottenere pure nuove sementi per fini commerciali, e la ricerca sulle piante si estese, svincolandosi dai lori usi terapeutici: la botanica diventava una scienza autonoma

L’epoca moderna

Il Seicento e il Settecento furono l’epoca dei grandi giardini botanici delle capitali, in particolare di quelle degli imperi coloniali: i coevi Jardin des Plantes di Parigi (1635) e Orto botanico di Amsterdam (1638), quest’ultimo finanziato dai medici e dai farmacisti della città; nel secolo successivo anche i Royal Botanic Gardens di Kew (1759), l'Orto botanico di Coimbra (1772) e quello di Calcutta (1786), fondato dalla Compagnia britannica delle Indie orientali. Nella Roma barocca di Bernini e Borromini fu papa Alessandro VII Chigi a volere che l’università si dotasse di un proprio orto botanico, donando, nel 1660, i terreni del Convento di San Pietro in Montorio, sul Gianicolo; tuttavia, solo con l’Unità d’Italia l’orto si estese nell'antico parco di villa Corsini, ancora oggi sede dell’istituzione, un autentico giardino delle meraviglie con vedute incantevoli su Roma. A Napoli, invece, Giuseppe Bonaparte, fratello maggiore di Napoleone, nel 1807 istituì il Real orto botanico, destinata all’ “istruzione del pubblico” e a beneficio della diffusione “delle spezie utili alla salute, all’agricoltura e alla industria”; nonostante i criteri illuminati e moderni all’origine dell’orto botanico partenopeo, la sua storia è emblematica delle traversie che alcuni orti botanici hanno dovuto affrontare negli ultimi due secoli: alla fine dell’800 scampò miracolosamente a un tentativo di lottizzazione edilizia, mentre nel corso della Seconda Guerra Mondiale è stato bombardato e le sue aiuole trasformate in orti per sfamare la popolazione, di cui divenne nuovamente rifugio durante il terremoto del novembre 1980. Nonostante ciò, il Real orto botanico è rifiorito ed è tuttora un punto di riferimento per la vita scientifica e culturale della città. 

Gli orti botanici oggi

A seguito dei mutamenti ambientali dell’ultimo secolo e alla crescente antropizzazione degli spazi naturali, si è reso necessario ridefinire le funzioni degli orti botanici, in particolare in relazione allo studio e alla conservazione della biodiversità, cui viene attribuita oggi un’importanza primaria; secondo la definizione della BGCI (Botanic Gardens Conservation International) l’orto botanico, come istituzione, deve promuovere, oltre alla ricerca scientifica, la salvaguardia della biodiversità vegetale, e le attività divulgative e didattiche. Agli orti botanici viene riconosciuta un’importante vocazione culturale, veri musei a cielo aperto con strutture fisse di grande valore architettonico, quali serre e vasche, capaci di attrarre milioni di turisti in tutto il mondo e di creare così un ritorno positivo sulle economie nazionali; la funzione ricreativa è rivolta però alla totalità dei cittadini, in quanto si tratta di polmoni verdi spesso localizzati nei centri urbani, mentre la didattica è ormai destinata a tutti i livelli scolastici, particolarmente alle giovani generazioni, futuri custodi della bellezza del nostro Pianeta.

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