Il freddo e la riduzione delle ore di luce tipici dell’inverno sono fattori di stress che agiscono sul nostro organismo dall’esterno. Squilibri alimentari e del sonno, ansia, stanchezza agiscono invece dall’interno. Sono solo degli esempi di condizioni in grado disturbare la capacità di autoregolazione del nostro corpo, che tenderebbe naturalmente a una condizione di stabilità.
Quando infatti l’omeostasi viene messa in crisi da squilibri di varia origine, il nostro corpo mette in atto una serie di meccanismi di difesa riparatori che producono modificazioni biologiche, ormonali, neurovegetative e immunitarie.
Tuttavia, questa reazione comporta l’impiego di energie supplementari e non sempre la nostra capacità di resilienza ci consente di rispondere adeguatamente ai numerosi agenti stressogeni. Se ciò accade, è facile cadere in uno stato di affaticamento fisico e mentale.
Quando si accende questa spia di riserva, un aiuto ci può giungere allora dalla natura tramite le piante adattogene, in grado di contrastare i fattori di stress, facilitare l’adattamento, migliorare le performance e riportare l’organismo in condizioni di equilibrio psico-fisico.
Quello di piante adattogene (dal latino “adaptare”, cioè adattare) è un concetto coniato nel secondo Dopoguerra dal farmacologo russo Nicolai Lazarev, basandosi su precedenti studi compiuti in particolare sulla schisandra (Schisandra chinensis Baill.), o Wu We Zi (“bacca dei 5 sapori”). La pianta vantava infatti un lunghissimo uso tradizionale presso i cacciatori della Siberia e del Nord della Cina come stimolante naturale, in grado di ridurre la fatica e la fame. Va detto però che un’idea analoga esisteva da tempo immemore sia nella medicina cinese (i cosiddetti tonici del “qi”) che nell’Ayurveda (i rimedi “rasayana”)
Sulla scorta dello studio pubblicato sull’Annual Review of Pharmacology da Brekhman e Dardymov nel 1969 e degli studi successivi si definiscono oggi “adattogene” quelle piante medicinali e i relativi estratti che consentono all’organismo umano di adattarsi con una risposta non specifica a fattori di stress di qualsivoglia natura mediante un effetto multitarget sul sistema neuroendocrino ed immunitario, che innesca un’azione normalizzante.
Una definizione debitrice alla medicina olistica, che considera il paziente innanzitutto una persona, composta di corpo, mente e spirito; all’interno di questo perimetro la comunità scientifica sta cercando di identificare i meccanismi molecolari chiave comuni tra più di 70 piante con una evidente azione adattogena.
Un’altra caratteristica delle piante adattogene è la loro sicurezza d’impiego, testimoniata dal loro uso millenario; a tal proposito meritano sicuramente una posizione di rilievo il Ginseng, l’Ashwagandha e la Maca, 3 piante provenienti da 3 diverse aree del Pianeta, tuttavia con usi simili riconosciuti dalla medicina tradizionale fin dall’antichità.
Il Ginseng è probabilmente la più antica pianta adattogena conosciuta dall’uomo. Nota da circa 7000 anni, è citata tra le piante più nobili con proprietà stimolanti nel Shennong Bencao Jing, una sorta di farmacopea cinese scritta oltre duemila anni fa. Se ginseng in cinese significa “pianta dell’uomo” per il suo aspetto antropomorfico, il termine Panax, che identifica il genere di 11 specie di piante appartenenti alla famiglia delle Araliaceae, deriva dal greco antico con significato simile a quello latino di panacea, cioè “rimedio a tutti i mali”.
Numerosi studi hanno dimostrato come l’effetto adattogeno della radice di Ginseng dipenda principalmente dai ginsenosidi, delle saponine triterpeniche con un’azione corticosteroidea. Per approfondire il meccanismo d’azione del ginseng puoi leggere anche il nostro articolo sui botanicals con proprietà adattogene: evidenze scientifiche. Se invece vuoi scoprire come si differenzia l’estratto di radice di Ginseng da quello delle foglie, scarica la nostra brochure.
L’Ashwagandha o Withania somnifera L. Dunal. (WS), è un piccolo arbusto appartenente alle Solanaceae (la stessa famiglia del pomodoro o delle patate), tipico delle regioni aride del subcontinente indiano; è nota anche come “ginseng indiano”, per il ruolo importantissimo che la pianta ricopre da sempre nella medicina indiana (Ayurveda), analogo a quello che il Panax ginseng occupa in quella cinese, cioè di “rasayana”, prescritta in casi di convalescenza, debilitazione, in geriatria e per migliorare le prestazioni intellettuali, in particolare la memoria.
L’effetto adattogeno dell’Ashwagandha viene ascritto ai witanolidi, dei lattoni steroidei che svolgono una potente azione antiossidante a livello del tessuto neuronale.
Anche la Maca (Lepidium meyenii Walp.), una pianta della famiglia delle Brassicaceae nota gergalmente come ginseng delle Ande o ginseng peruviano, è considerata tradizionalmente una pianta medicinale con funzioni adattogene e di miglioramento della fertilità, come osservato fin dal XVII secolo da alcuni esploratori europei.
La Maca è una pianta molto ricca di principi nutrizionali e rappresenta un’importante risorsa nell’alimentazione delle popolazioni andine; contiene anche delle molecole, le macamidi, che sono considerate responsabili della sua attività.
Secondo una recente revisione sistematica (Cherie Bower-Cargill, Niousha Yarandi, 2022) condotta su un totale di 57 studi (14 clinici e 43 preclinici), questa pianta è risultata efficace nel trattamento di numerose condizioni oltre alle disfunzioni sessuali e ai sintomi della menopausa.
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